Mi chiamo Camilla, sono una blogger non vedente.
Dove c’è ombra non c’è luce, ma mistero e immaginazione. Dall’ombra si dipanano infinite trame: le ombre cinesi proiettate sui muri, i giochi dei bambini che cercano, invano, di scappare dalla propria ombra. Fondamentale come refrigerio al mare, agognata e sognata nel deserto. Assenza che può diventare presenza. Un disegno senza ombra non avrebbe tridimensionalità. Le figure apparirebbero piatte, prive di prospettiva. Sotto un cappello, dietro un occhiale da sole, sotto una palma o sotto un velo.
Il mio babbo è architetto, il chiaroscuro il mio pane quotidiano. Dario Fo, proprio lui, mi regalò un disegno fatto d’ombra. Ero da poco arrivata a Bologna per la laurea magistrale al Dams. Mi incontrai con i miei colleghi di corso e andammo a teatro a vedere quello che, purtroppo, è stato il suo ultimo spettacolo teatrale. Si chiamava: Ciulla, il grande malfattore. A fine spettacolo andai a salutarlo e ringraziarlo. Ricordo che prese un foglio, fece un disegno di un uomo e poi chiese delle lattine di bibite per disegnare l’ombra dell’omino e far risaltare la figura.
Numerosi scrittori – anche se, detto così, suona riduttivo – hanno fatto appello all’ombra. Come Platone nel mito della caverna. Il filosofo racconta di schiavi incatenati in una caverna buia. Impegnati a fissare una parete, alle loro spalle viene acceso un fuoco, di cui loro possono vedere la proiezione sul muro. Davanti al fuoco sfilano animali e oggetti, e gli schiavi, che ignorano la realtà, si illudono si tratti di immagini reali e non di ombre. Gli schiavi hanno sempre vissuto nella caverna, dunque non conoscono il mondo esterno. Cosa voleva dirci con questo mito Platone? Semplificando, che chi vive nell’ombra non conosce la verità, la realtà.
E poi c’è La linea d’ombra di Joseph Conrad, le ombre dei film espressionisti, nel Gabinetto del dottor Caligari. C’è la Moonlight shadow di Mike Oldfield.
L’ombra appare e scompare, dipende dalla luce. Cela e svela.