Capelli scuri e occhi scuri. Ogni mattina, si alza del letto e si guarda intorno, per controllare che i trenini e gli orsetti della carta da parati siano tutti al loro posto. Sorride alle bambole e ai poster che tappezzano le pareti, si immedesima nella sua Barbie o in Francesco Totti, suo calciatore del cuore, mentre decide come vestirsi. Rosa o turchese se è un giorno in mezzo alla settimana, giallo o rosso come il suo campione se è lunedì, il giorno dopo la partita. La bambola preferita? Quella diversa da tutte le altre. Quella con gli occhi e i capelli neri, proprio come lei. Gliel’ha riportata suo padre Alcidonio da un viaggio.
Ogni giorno una ragazza non vedente si alza per andare al lavoro, occhi gonfi di sonno e realtà confusa con i sogni. Si aggira per la stanza e accende la radio, mette il viso fuori della finestra. Piove, fa freddo, bisogna vestirsi di rosso oppure di marrone, ci vuole un colore che scalda. Adesso è estate, il corpo è arrossato dalle fastidiose punture di zanzare, meglio vestirsi leggeri, magari di bianco.
Sono nata uguale a tutte le altre bambine, poi sono diventata diversa, com’era diversa la mia bambola.
Mi chiamo Camilla, ho 27 anni e sono una ragazza non vedente. Ho perso la vista a 7 anni e, proprio come una blogger ogni giorno deve scrivere un nuovo post, anche io, ogni giorno, reinvento la mia vita. Su queste pagine proverò a raccontarvi i colori dal mio “punto di vista” – o di “non vista”, dipende da quanto vogliamo essere politically scorrect. Sono abituata ad associare i colori a un ricordo, e i ricordi si intrecciano e danno vita a una tela di Penelope, calda e variopinta come una vecchia coperta della nonna.
Mi dici giallo? E io penso ai sandali, quell’estate nella casa al mare di Latina, quella con i pavimenti rossi, sospesa tra l’azzurro del mare e quello del cielo. Il caldo, i gelati. E il mio costume con il suo rosa sgargiante.