Mi chiamo Camilla, sono una blogger non vedente
Un vetro, una copertina per un quaderno, la custodia di un cd, l’aria, l’acqua. Un colore che non è un colore, eppure da quando esiste, nessuno ne può fare a meno. È trasparente il vetro di una finestra che ci protegge dal freddo e ci scherma dal sole, lasciando intatta la vista del paesaggio là fuori. La foderina che mettiamo a un libro a cui teniamo troppo, tanto da volerlo proteggere. L’aria, il vento, il ruscello.
Personalmente, amo coprire con un velo invisibile tutte le cose che ho. Il mio cellulare, il mio diario. Persino le mie unghie.
Ho sempre amato fare decoupage. Ogni volta che finisco di decorare un oggetto, generalmente in legno, lo ultimo con un leggero strato, rigorosamente trasparente. Da piccola avevo una tazza trasparente, di quelle con l’acqua in cui nuotano i pesciolini di gomma. Amavo bere il latte lì dentro.
Anche il vetro degli occhiali, per molti unico strumento per vedere il mondo, è trasparente.
Limpido, chiaro, palese. Lampante. Senza fronzoli, senza oscurità, senza secondi fini.
È trasparente il rumore di una goccia che cade, il rumore dell’acqua che scorre e di quella che bolle in pentola. Il ghiaccio, nel cocktail o sulla macchina d’inverno. La tequila, il gin, la vodka.
È trasparente il rumore della rugiada che cade sulle foglie al mattino, il rumore del vento che smuove il mare. Immagino trasparente anche il suono della musica elettronica e di quella sperimentale.
La distanza tra la mano dell’artista di ombre cinesi e il muro; o spazio tra il piede di un calciatore e la palla; l’aria tra un pettirosso mentre è in volo e la terra.
È trasparente tutto ciò che ancora non c’è e deve essere inventato.