Mi chiamo Camilla, sono una blogger non vedente.
Tutto è cominciato con il rosa: “Anche se non vedo, penso a colori. Mi è sempre piaciuto vivere in rosa, guidata dalle note de La Vie en rose di Edith Piaf”.
Poi è arrivato l’oro: “Ho sempre pensato che l’oro rappresentasse perfezione, gioia, onnipotenza. Nessuno può crearlo, moltissimi lo sognano”.
Il terzo è stato il blu: “Blu, come il profumo della salsedine. Blu, come il sapore dei mirtilli”.
Ho continuato con il verde: “Verde come una mela da sgranocchiare in barca. Verde come il campo da calcio, uno degli ultimi ricordi visivi che ho”.
Poi è stata la volta del bianco: “Bianco come la notte. Come una pagina che deve essere scritta, come un muro che aspetta di essere colorato”.
Il sesto è stato il rosso: “Rosso come il fuoco e il tramonto, rosso come la mia prima Dattilobraille”.
A seguire, il viola: “Viola come l’ametista, come la marmellata di prugne, come lo zucchero filato”.
A quel punto, era il turno del giallo: “Giallo come il cuore delle margherite, come i casi irrisolti della più famosa signora del crimine”.
Iniziava settembre, e ho scelto l’argento: “Argento come il suono delle campane, come il tintinnio di due orecchini che si incontrano”.
Le giornate si accorciavano, ed è arrivato il nero: “Penso al nero ed è subito Parigi con le Chat Noir a Montmartre. Nero come il caffè bollente, come l’ebano”.
Poi mi è venuto in mente il marrone: “Marrone, sapore di castagne al fuoco e profumo di autunno, di rum, di whisky e di cioccolata calda”.
L’aria cominciava a rarefarsi, e ho scritto del trasparente: “È trasparente il rumore di una goccia che cade. È trasparente tutto ciò che deve ancora essere inventato”.
Le foglie imbrunivano, è ho dedicato un post al bronzo: “È il colore del risultato raggiunto a fatica, strappato con i denti. È il colore della mia prima medaglia”.
Il numero 14 è il post sul grigio: “È il colore dei pomeriggi di noia, del cielo gonfio di pioggia, delle nuvole del Nord”.
Con l’autunno, ho scritto del bordeaux: “È il colore del vino francese e dei biscotti al bordeaux, da sgranocchiare in famiglia, a merenda o davanti alla partita”.
A seguire, mi sono ricordata del color senape: “Senape è un colore che ha un ricordo, una forma e una storia. Senape è il colore dei viaggi, degli hot dog di New York e dei wurstel di Berlino”.
… e del carbone: “Quanti disegni ho fatto nella mia stanza, con il carboncino rubato di nascosto a mio papà”.
A quel punto mi sono chiesta: cosa manca? Il turchese! “È colpa della fatina di Pinocchio se, ancora oggi, sono convinta che il turchese sia il colore della magia”.
I colori che riesco a ricordare, ormai li avevo passati tutti in rassegna. Così, sono passata a dei colori non colori. Tu chiamale se vuoi, sensazioni.
Così ho scritto della luce: “La luce, chiara limpida e superba. Quando c’è lei è impossibile nascondersi, è impossibile non ammettere”.
Poi è venuta l’ombra: “Dove c’è ombra non c’è luce, ma mistero e immaginazione. Dall’ombra si dipanano infinite trame”.
A quel punto, mancavano solo il lucido e l’opaco.
Poi è arrivato oggi. E ho capito che il mio arcobaleno era completo.
Dovete sapere che l’idea di intraprendere questo percorso di storytelling, chiamiamolo così, sui colori è nata proprio il primo giorno di lavoro. Ricordo ancora l’agitazione che avevo. Un posto nuovo, nuovi colleghi e un’esperienza del tutto inedita da intraprendere. Appena arrivata partecipai subito ad una riunione con un cliente, guarda caso era proprio Renner. A me e ai colleghi venne in mente questa idea sui colori “visti” da una ragazza non vedente e la proponemmo. Fu subito accettata di buon grado.
Mi sono messa subito a lavoro su questo progetto. Non nascondo che all’inizio mi sentivo un po’ perplessa. Non sapevo se darei stata in grado di portare su carta – virtuale – le mie emozioni, le mie suggestioni. In qualche modo si trattava di aprirsi e raccontare alla gente una parte di me anche dolorosa. La perdita della vista prima, l’inizio di una vita nuova poi. I colori, miei fedeli compagni di viaggio, si sono lasciati descrivere da me con un po’ di fantasia e tanto coraggio.
Li ho presi, fatti miei, plasmati, metaforizzati, camillizzati. Ecco: camillizzati è la parola giusta. Un arcobaleno tutto personale, a volte reale, altre un po’ fantasioso. Ognuno di essi è legato a una sensazione, una suggestione, un viaggio o un ricordo di infanzia. Colori cantati, descritti, indossati, assaggiati, odorati, mangiati, ascoltati, alcuni immaginati altri persino inventati (ma non vi svelo altro, dovete restare con noi ancora una settimana!).
Che dire di questo viaggio? Sono soddisfatta. Sono felice. Sono orgogliosa di essere riuscita a tirar fuori ed esprimere una parte di me che neanche io conoscevo.